I am the Architect – 11

Muenster, Germania. Anno 2008. Città studentesca, dicono. Magari pure di architettura. O magari anche no. Del resto si tratta del nome del gruppo. Non che non abbia la sua importanza come ci si presenta. Ma alle volte passa in secondo piano. Potrebbe anche essere una citazione da un’altra canzone. O anche no. Se ne potrebbe discorrere per ore senza cavare un ragno dal buco. Che per altro si trova tanto bene lì e gli arrivano sempre dei rompiscatole che cercano di tirarlo fuori. Quindi onde evitare di dare noia ad un simpatico animaletto che si fa amabilmente i fatti suoi e ci aiuta nel catturarci inutili insetti volanti si può ritornare al disco in questione. 11 (undici). Anche su questo nome si potrebbe discorrere a lungo. Un Roberto Giacobbo potrebbe condurre una serie di trasmissioni sull’argomento. Senza dirci nulla peraltro. Come al suo solito. Invece le tracce sono quattro, dalla durata tra i cinque e gli otto minuti e mezzo. Strumentali. Anche se la voce sembra alle volte occhieggiare, sembra volersi far vedere. Ma non sentire. C’è, ma è un suono tra gli altri. Tanti. L’atmosfera sembra cupa alle volte. Ma viene presentata in diverse maniere. Taluni momenti è l’ambiente intorno a noi che predomina, altre volte è dall’interno che sentiamo arrivare qualcosa. Di non tanto definito. I colori ci sono, ma prevalentemente ovattati. Dal buio che esce dal nostro interno alla notte che ci circonda. Alle volte è la luna che ci indica cosa vedere, col suo argento irradiante. Alle volte è la nebbia che ci circonda e che sfuma tutto. Ma attraverso essa comunque filtrano dei raggi. Che la disperdono e ci fanno intravedere qualcosa. Qualcosa che è necessario vedere. E sentire. Con tutto il corpo. Si passa da momenti di rabbia interiore alla gioia. Energia sprigionata dall’interno attraverso il nostro corpo verso un ambiente che non rimane fermo, intangibile, ma che ci risponde e si fa sentire. Non solo sonoramente, ma anche fisicamente. Al tatto, all’olfatto fino a voler raggiungere l’origine del movimento che partì dentro di noi. Alla fine non si sa più bene dove siamo. In alcuni momenti certamente vengono ricreate atmosfere in cui si può osservare l’ambiente circostante come non ne facessimo parte, ma poi ci si arrende, anche noi se ne fa parte. Ascoltare possibilmente con tutti i nostri sensi. Ed è così che l’album scorre veloce. A tratti energico, a tratti rilassante e distensivo. Scorre. Purtroppo finisce. Dalla rabbia iniziale si passa per rilassarsi, e poi si riparte. Si ricomincia. Purtroppo a disco finito si è da soli, senza loro che ci accompagnano. Ma hanno tirato la volata. E si può provare a continuare. Aspettando la loro nuova uscita. Alla fine del disco sembrano voler concludersi con un climax ascendente, rullate e intensità che crescono fino a fermarsi. Ma… poi compare un brusio di fondo… un cliffhanger forse? Riprenderanno il lavoro da lì? Chi può dirlo. Il climax indica la fine di un disco, ma il tappeto sonoro che ne esce indica che ciò che ha scaturito il brano/disco c’è, ed eccome e non è affatto finito. Adesso tocca a noi continuare.

I am the Architect – “11”
1- Quit
2- Remote Control
3- Silence Silence
4- Remote control

Anno: 2008
Provenienza: Muenster, Germania
Netlabel: Lost Children
Download: Arhive, Mediafire
I am the Architect nel web:
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